Collateral Beauty è un film che ami oppure odi, non sono concessi altri sentimenti. Bianco o nero, non esistono grigetti e beige, la decisione è univoca e ben definita.
Che ne dicano critici cinematografici più esperti di me, io questo lungometraggio l’ho amato, sì, istintivamente dalla prima scena in cui, a suon di Way down we go di Kaleo, Will Smith tira giù le pedine del domino ai titoli di coda, suggellati da Let’s hurt tonight dei One Republic.
Ho amato la storia, tanto surreale da essere plausibile, gli interpreti magistrali, l’ambientazione e persino l’effimero che si cela dietro ai protagonisti.
C’è una sorta di inafferrabilità dietro ogni personaggio. Non conosciamo i dettagli di quello che c’è stato prima e di quello che sarà di loro dopo l’ultima scena, ma riusciamo a vivere con loro il presente. Il presente che è poi quello che dovremmo impegnarci a vivere un po’ tutti, il presente che, come dice anche il termine da un punto di vista lessicale, significa nient’altro che regalo.
Non sapremo mai, o almeno non ufficialmente, se Claire diventerà madre, se Whit riuscirà a portare a cena Aimee, quanti giorni restano a… un momento non voglio dire troppo, dovete vederlo anche voi e dire la vostra. Quindi mi soffermerò a raccontare le mie emozioni senza alcuno spoiler fastidioso, perché non voglio svelare troppo, solo una mia piccola recensione su Collateral Beauty.
Di cosa parla Collateral Beauty? Amore, tempo, morte.
Molti hanno criticato aspramente la pellicola, rea, a quanto pare, di sminuire il dolore provocato dalla perdita di un figlio (questo lo posso scrivere visto che se ne parla anche nel trailer). Personalmente non credo che esistano modi giusti o sbagliati di vivere il lutto tanto meno di raccontarlo. Realizzare un film strappalacrime non rende la finzione cinematografica più political correct. Dire che un lutto va vissuto cedendo al dolore, togliendo alla propria vita ogni gioia non lo rende più accettabile.
Non esiste la stessa vita dopo la morte di un figlio, ma esiste comunque la vita. E rinunciare a vivere è come rimanere in una sala d’attesa finché non cederemo del tutto alla morte.
Il film, in quanto prodotto della settima arte, e sì parliamo di arte, riesce a farsi strumento catartico e mezzo di comunicazione universale, dipingendo una storia bizzarra quanto genuina. Un intreccio narrativo in cui non vi è un solo protagonista, ma ogni personaggio si mostra a noi e impara a vedere la bellezza collaterale.
Che cosa è la bellezza collaterale?
La bellezza collaterale è il legame profondo con tutte le cose, il nostro contatto con il resto del creato. Ognuno di noi ha ricevuto questo dono, dobbiamo solo rendercene conto.
Morte.
Tempo.
Amore.
Tutto è collegato: Amore, Tempo, Morte. Questi tre elementi connettono tutti gli esseri umani sulla terra. Desideriamo provare amore, desideriamo avere più tempo e temiamo la morte.
Credendoci o no, Howard volta le spalle ai primi due, ma rimane fermo immobile con l’amore. Non si sceglie chi amare e l’amore non è solo amare un’altra persona. L’amore è per se stessi, per ciò che ci circonda, per una giornata di sole, persino per un pomeriggio di pioggia stando accucciati sul divano.
L’amore è tutto, è in noi, è il senso di ogni cosa che c’è.