Quando ero adolescente mi sentivo dire spesso frasi come “Quando avrai la mia età capirai!”, oppure “Vorrei vedere te, quando sarai grande!”.
All’epoca certe parole lasciavano il tempo che trovavano e, molte volte, mi veniva da rispondere con un certo sarcasmo: “Cosa mi manca per capire, scusa? Non sono intelligente abbastanza ora? E anche se fosse, tra 10 o 20 anni non sarò sempre e comunque io?”. Mi faceva ridere quel mito di “diventare grandi” che tutti profetizzavano, quasi per me non dovesse accadere mai.
Ecco, alla fine però è successo davvero, il tempo è passato, e non so come mi sono ritrovata a giostrarmi tra gli impegni di lavoro, i doveri verso la società, la ricerca di una casa, magari il progetto di una famiglia…
Trainspotting 2 e quel magnifico ghigno esaltato
Lo “scegli la vita” che prima Mark pronunciava con quel suo sorriso ironico (e anche un po’ esaltato, come solo il miglior Ewan McGregor sa fare ndyg), ora lascia il posto ad un discorso malinconico e dal forte retrogusto amaro.
Se il primo film ci aveva colpito, magari addirittura infastidito, per quella sincerità drasticamente cruenta e per quell’irriverenza grottesca, specchio di un disagio generazionale, Trainspotting 2 punta a rivisitare in chiave nostalgica quel malessere, ricoprendolo con problemi più attuali, apparentemente meno “eccessivi” rispetto all’eroina ma altrettanto dannosi.
Citazioni continue (vi invito caldamente a rivedere il primo Trainspotting prima di andare al cinema) che ben si sposano con quella sensazione di rimpianto, che accomuna tutti coloro che hanno lasciato indietro la spensieratezza tipica dell’adolescenza.
Il mondo è cambiato e già il fatto che Mark, Simon, Francis e Daniel utilizzino i loro nomi di battesimo, arrivando quasi a rinnegare quell’intercalare giovanile che ce li aveva fatti conoscere come Renton, Sick boy, Begbie e Spud, ce ne fa rendere conto fin da subito.
Spud, vince ogni simpatia
L’unico a rimanere coerente è Spud, che rifiuta di esser chiamato per nome e ancora si identifica con quel personaggio stravagante cucitogli addosso dagli altri e persino da se stesso. Vero eroe della vicenda, che sorprende per l’evoluzione psicologica, tanto da dimostrarsi il più forte dei quattro, ma sempre in modo non convenzionale. Cosa potevamo aspettarci di meglio dallo strambo individuo con indosso quegli immancabili occhialoni gialli?
Gli anni ’80 in piena crisi esistenziale
Trainspotting 2 ci mostra come, chi ha vissuto a pieno gli anni ’80, ora si ritrovi a fare i conti con questa società moderna in cui “l’interazione umana è ridotta a niente più che dati” e dove i freddi social la fanno da padroni. Una realtà, questa, in cui la contraddizione è in ogni cosa, come per esempio nel sentirsi soddisfatti di un nuovo iphone, acquistato spendendo un mese del proprio stipendio, per poi custodirlo nella tasca di un giubbotto che probabilmente è stato cucito da qualche bambino del sud-est asiatico al limite dello schiavismo.
Il film fa riflettere su molte cose: su quanto sia difficile, negli anni, rimanere coerenti a noi stessi, sugli errori che si continuiamo a fare e che si ripercuotono sulle nuove generazioni, sul cosa sia realmente necessario per superare i nostri limiti.
La domanda, però, che più di tutte mi è rimasta in testa dopo aver visto il film è stata: entrare a far parte di questo mondo, omologarsi alla “contraddizione” e scegliere questo tipo di vita, può alla fine farci sentire realmente felici e liberi?
Ecco, io vi invito a rifletterci su e, naturalmente, a correre a vedere Trainspotting 2, che sarà, insieme al primo, un must have della cultura cinematografica di ogni individuo.
Ora vi lascio… mi raccomando scrivete, sono curiosa di leggere le vostre opinioni!