Larry Nassar
Se ne parla poco e in secondo piano, eppure quello degli abusi sessuali è un tema molto sentito negli ultimi tempi. Si ha quasi l’idea che finché si tratti di super star hollywoodiane o dive da copertina sia giusto indignarsi fino a scendere in piazza, mentre quando questo capita in una realtà più quotidiana e vicina a noi, come può essere quella sportiva, pare sia normale far passare il tutto in sordina.

No, non ci sto a far passare in sordina quanto accaduto negli Stati Uniti nel processo contro l’ex medico della nazionale femminile statunitense di ginnastica, Larry Nassar. La vittoria ottenuta ieri con la condanna  a 175 anni di reclusione è qualcosa da celebrare ad alta voce, così come il coraggio di tutte quelle atlete che da “sopravvissute” hanno avuto la forza di raccontare le loro ferite e smascherare pubblicamente l’orco che le aveva violate.

Non più vittime ma eroine di loro stesse.

Donne, alcune poco più che maggiorenni, che hanno testimoniato in corte quanto accaduto durante la loro carriera da ginnaste, lontano da casa e dai loro cari, affidate ad un uomo in cui riponevano completa fiducia e che invece ha approfittato di loro senza il minimo scrupolo, mentendo, manipolando e abusando del proprio potere. Donne (sottolineo con la D maiuscola) che hanno testimoniato al mondo di avere una voce, forte e chiara, con cui difendersi e chiedere giustizia, le quali non smetteranno di seguire le proprie passioni a causa di mostri del genere. Donne che nella loro fragilità hanno trovato la fermezza di capire che ad esser sbagliate e a doversi sentire in colpa non erano loro, bensì la persona che aveva avvelenato le loro vite.

Chi ha sminuito quanto accaduto e protetto Larry Nassar è complice di un meccanismo malato.

Questa lotta però non può fermarsi così, non può accontentarsi di un capro espiatorio, perché Larry Nassar è stato messo lì e protetto da altre persone negli anni, e affinché l’ambito sportivo torni ad essere “sano” e sicuro è bene che venga ripulita ogni traccia ed influenza di questo “cancro”, come sostenuto dall’atleta olimpionica Aly Raisma nella sua testimonianza.

Troppe sono le ragazze e le donne che hanno sofferto per questo, “violentate” una seconda volta da coloro che sminuivano le loro accuse definendole “troppo drammatiche” o insinuavano che stessero fraintendendo il comportamento del medico. È assurdo che le grandi organizzazioni che hanno voltato le spalle al problema, fingendo di non vedere, ora ne escano illese e pulite.

È tempo di cambiare questo sistema; è tempo che ogni persona si senta responsabile per ciò che accade a due passi da lei o sotto la sua supervisione.

Che sia un esempio.

La speranza, dopo tutta questa vicenda, è che sia una pena esemplare, utile a mandare un messaggio inequivocabile a coloro che si sentono intoccabili nel perpetrare i loro orribili abusi: è l’inizio di una nuova era, un’epoca migliore, fatta di giustizia e rivalsa, dove non ci saranno più poteri dietro cui possiate nascondere le vostre violenze.