Detto, fatto. Decide che si sarebbero chiamati Kutso. Calcolando che ha imparato a cantare tornando da scuola con il suo walkman e facendosi male alle corde vocali se un pezzo non veniva come avrebbe voluto, posso permettermi di definirlo determinato e testardo.
I KuTso nascono precisamente nel 2006. Lavorano bene, si fanno conoscere, scrivono, suonano, sperimentano e riescono ad arrivare sul palco dell’Ariston nel 2014. Tutto in ascesa. Sembra.
Arriva novembre 2016. In un colpo solo se ne vanno due componenti della band (che ricordo essere formata da quattro persone). Ma Matteo, leader del gruppo, non si scoraggia e prende in mano la situazione. Insieme a Simone avevano deciso che a breve avrebbero iniziato a registrare il nuovo album e così hanno fatto. Trovati Brian alla chitarra e i cori e Luca al basso hanno iniziato a lavorare. E finalmente tra poco potremo ascoltare il loro nuovo lavoro.
Ma se fossi partita in un altro modo per questo articolo? Se…
Se vi scrivessi su un foglio la parola Kutso…
Sono sicura fareste una faccia ambigua e cerchereste di capire come si debba pronunciare prima di leggerla ad alta voce o di chiedere consigli a qualcuno.
Ecco, se non sapete a cosa mi riferisco vi racconto io di cosa sto per parlare: Matteo Gabbianelli è la voce dei Kutso. Un personaggio. Un uomo fantasioso, anche in cucina lo è! Non avete mai ascoltato i suoi pezzi? Ecco, questo è il momento giusto per iniziare ma attenzione: orecchio critico per favore.
Vi chiedo di ascoltare bene i testi, di valutare a fondo cosa evocano in voi e poi di rispondermi. Sincera lo sono dal primo post e continuerò ad esserlo.
Io i Kutso li ho rivalutati col tempo.
Non mi piacevano proprio, ma per niente. Li trovavo estremamente volgari e non travolgenti. Ecco, ricredersi nella vita serve, eccome! Ora, con senno di poi, e forse un minimo più di esperienza musicale, posso dire che esprimono tanto, troppo, tutto quello che siamo nella società di oggi. Con occhio critico hanno da dire e da non dire come siamo, cosa vogliamo, cosa vorremmo diventare.
Fatemi il favore: se incontrate Matteo Gabbianelli per strada o Simone Bravi che suona la batteria, o Brian Riente o ancora Luca Lepore e non sapete ancora chi sono, non dite nulla. Se invece li doveste mai incontrare sul vostro percorso e avete ascoltato i loro pezzi, ditegli cosa pensate e perché.
Sono sicura apprezzeranno molto la nostra sincerità e idea di musica. E sono anche convinta che facendo tesoro del vostro pensiero gli verrà in mente qualche frase per qualche altro brano. Su di noi. Su di voi. Su tutti quanti quelli che hanno a che fare con la loro vita.