#Donne.

Ho sempre odiato i luoghi comuni, le frasi fatte e la filosofia spiccia. In occasione di una festa in cui le banalità si sprecano, eccomi qui a riflettere sul significato di essere donna. Oggi cercherò di mostrare e raccontare alle lettrici in giallo l’universo femminile attraverso l’arte – promotrice di bellezza e unicità – e… udite udite, attraverso la mano sapiente di un uomo, che ha saputo esprimere e valorizzare l’interiorità e l’essenza della femminilità.

Si dice che l’universo femminile sia una confusione.

Pensate agli uomini incontrati nel vostro percorso, che siano amici, amanti, fidanzati, fratelli o vecchi compagni di scuola… Ogni uomo ci accusa di essere entità incomprensibili: un mistero, un’ossessione. Alcuni non si danno per vinti finché non ci hanno conquistate, andando incontro magari anche a denunce (o peggio cose che non ho intenzione di menzionare).

Vi introduco un famosissimo artista, conosciuto per la maggioranza per un Bacio internazionalmente considerato come capolavoro d’avanguardia: Gustav Klimt rimase ostinatamente celibe per non intaccare la bellezza eterea delle donne che amava e dipingeva. Oh, quante personalità diverse è riuscito a rappresentare.

Ma Klimt non è stato solo l’artista che ha reso le sue opere degli scrigni preziosi, i suoi quadri vanno oltre il semplice enigma, ogni elemento riporta ad un significato preciso: c’è la biologia, c’è la storia, c’è l’amore, c’è la musica, c’è l’odio, c’è la filosofia, c’è la lussuria, c’è la vita intera e anche di più.

Klimt non è solo un rivoluzionario, è un artista elegante ma allo stesso tempo in rotta con gli ambienti “pettinati” della Vienna del primo Novecento. Il suo concetto di delicatezza e raffinatezza è un inno alla bellezza. La sensualità delle forme sinusoidali che creano vortici di corpi sono liberi di esprimere sentimenti forti che però mai si spingono oltre il limite del buongusto. L’arte di Klimt è destinata all’elite; solo per chi riesce ad apprezzare la tenerezza di uno sguardo assopito o di un abbraccio avvolgente in un contesto misterioso ed ambiguo.

Non troveremo spazi vuoti sulle tele di Gustav Klimt.

Lo spazio vuoto, la tela anonima lo infastidiva ed impauriva, ecco allora che prendono vita fondi dorati di reminescenza bizantina, decorazioni puntellate che ricordano gli amanuensi medievali, ed ogni elemento non è casuale, ogni spirale assume un valore simbolico. Lo stile è articolato, il ritmo è una sinfonia continua dove il colore e le linee non trovano pace, occupando ogni millimetro di superficie. Tinte artificiali, fredde, cangianti che ricordano i colori di animali esotici o pesci tropicali. Spesso i volti sono sfumati, un effetto che investe i personaggi di un’aura sofisticata e distante dalla dimensione terrena.

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Una delle sue prime donne, Pallade Atena, del 1898 non è la dea razionale che siamo abituati a vedere, questa è una donna: superba, audace, dallo sguardo severo, glaciale, austero e privo di emozione alcuna. Una bellezza algida che ricorda la figura della guerriera solo alla componente dell’elmo e dell’armatura. Citazioni alla tradizione greca sono palesi nello sfondo, decorato come un vaso antico, e nella raffigurazione di medusa che incute timore nell’osservatore. Interessate è l’elemento che tiene nella mano destra, una citazione dell’artista a sè stesso, sostituendo la vittoria alata con la sua Nuda Veritas, simbolo della secessione viennese.

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La Nuda Veritas citata, fu realizzata in due versioni (1898); la prima, in formato grafico, recava la citazione di Schefer “La verità è fuoco e parlare significa illuminare e bruciare”; la seconda versione, quella pittorica, cita Schiller, alimentando la polemica con le parole “Non puoi piacere a tutti con la tua azione e la tua arte. Rendi giustizia a pochi. Piacere a molti è male”, puntando sicuramente il dito su tutti quei perbenisti viennesi che lo criticavano urtati.

La protagonista è una sensuale donna dai selvaggi riccioli, dallo sguardo ieratico e dai lineamenti cattivi, è immersa in un ambiente acquatico di reminiscenza freudiana. La donna ha un serpente ai suoi piedi, è nuda, spogliata e presentata nella sua naturalezza senza l’artificio della bellezza e del corpo idealizzato e senza alcuna carica provocatoria. Anche questa è una femme fatale dal carattere demoniaco, estremamente misteriosa, che reggendo in mano uno specchio rivolto verso lo spettatore, si rende pericolosa ed inquietante, imponendo a chi la guarda di specchiarsi ed in un certo senso guardarsi dentro, analizzarsi e farsi un esame di coscienza.

Qualcuno disse che se l’uomo può vivere in mezzo al nulla, non può tuttavia sopportarne la vista. Spesso la rappresentazione femminile fa riferimento a figure mitologiche acquatiche, motivo che coniuga la natura e quindi la semplicità dell’essere donna, con l’aspetto più negativo, ovvero l’essere creature prive d’anima tendenti al tradimento.

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Acque Agitate (1904 – 1907) è la seconda versione di uno stesso soggetto: rispetto alla prima, questa composizione risulta più sensuale e, sviluppandosi in orizzontale si presenta come un fregio, un elemento altamente decorativo. La posa delle donne è tipicamente klimtiana ed una cascata di capelli biondo-dorati incornicia le eleganti sirene/donne dai corpi sinuosi che ricordano il serpente (ripreso nel titolo): le figure si confondono tra gli elementi naturali e le masse di capelli che si aggrovigliano creano contatto tra le donne. La figura in primo piano cerca un contatto con l’osservatore, guardandolo intensamente ed invitandolo a prendere parte al siparietto lascivo.

Vengono inseriti una miriade di dettagli, simboli e mosaici che impreziosiscono l’opera, richiami alla natura ed alle forme del cervello, e quindi della mente, della razionalità, mantenendo una forte carica sensuale enfatizzata dai corpi sfumati e fluttuanti. Si combinano assieme fragilità e passione, in un volteggio onirico, chiaro riferimento al carattere illusorio della tentazione d’amore. L’opera fu esposta a Roma nel 1911, ma il titolo fu “censurato” presentando l’acquerello come Le sorelle.

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Klimt sente nella donna la presenza malefica ed, insieme, l’artificio dell’innamoramento, così la Giuditta I è il ritratto della femme fatale per eccellenza. È l’opera di Klimt che personalmente preferisco: lei è la donna che domina l’uomo e lo annienta, è l’amante che sfugge ad ogni comprensione ed ad ogni possesso, è la donna che fa l’amore per fare quello che vuole. Lei si sottrae alle forme stereotipate del sentimento amoroso, non prova piacere, rimane fredda, completamente distaccata dall’ebbrezza dell’amore. Nulla deve e può toglierle il potere e la passione dell’essere spietata: avvicina l’uomo e non solo lo uccide, ma lo umilia pure, infatti la testa decapitata di Oloferne occupa la parte più bassa ed insignificante del dipinto, uscendo anche dallo spazio pittorico stesso.

Quando ci si trova di fronte a quest’opera sembra di sentire il respiro della protagonista, il palpito del suo cuore e il tremore delle sue mani. La protagonista è avvolta in un delicato mistero, si presenta arrogante, in posizione frontale, seminuda ed adornata da eleganti gioielli Art Noveau, immersa in uno sfondo oro che richiama, nelle decorazioni, il mondo arcaico.

Giuditta è l’eroina biblica che salva il suo popolo, ma è anche l’emblema della femminilità assassina, che con la sua sfrontatezza e sensualità evoca Salomè.

Giuditta è sicura e fiera, animata da una bellezza languida, sfuggente, quasi in preda all’estasi orgiastica. Lo sguardo è misterioso ed inquietante, gli occhi semichiusi e la bocca fremente ipnotizzano ed incantano lo spettatore. Giuditta è una splendida creatura e predatrice che, affondando i bellissimi artigli, tiene tra le mani la testa della sua vittima. Ma è proprio questo contatto che crea un legame masochista tra i due, dove non c’è odio, ma piuttosto un sadico tentativo d’amore.

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Ecco che esce così la sua vera natura. La donna è spogliata della sua aura maligna solo nella parte finale del Fregio di Beethoven (1902 – Palazzo della Secessione), dove è rappresentato il raggiungimento della felicità pura, dell’amore puro: una serie di angeli del Paradiso fanno da cornice al tenero abbraccio di una coppia. Sembra di sentire la musica dell’Ode alla Gioia, ed anche sulle pareti regna l’armonia: i colori brillanti donano tranquillità, mentre l’immancabile oro evoca l’idea della sacralità dell’evento. L’abbraccio è protetto da una campana, l’unione è sicura e consacrata da Dio; l’uomo e la donna possono così godere quel loro amore unico.

Non c’è più tempo per fingere. Gioia, meravigliosa scintilla divina. Questo bacio a tutto il mondo.